Che cosa significa “malattia psicosomatica”? Che cos’è la “chiave psicosomatica”?

La “chiave psicosomatica” è semplicemente una chiave di lettura di sintomi che si esplicitano sul nostro corpo, ma la cui origine è altrove, nella nostra psiche. La maggior parte dei casi, non ne siamo pienamente consapevoli: ma spesso cercare un nesso, se non proprio una causa, di un sintomo somatico nella nostra psiche, ci riserva delle grandi sorprese e delle sconvolgenti scoperte.

E che cos’è la “somatizzazione”, processo che viene studiato e sta alla base dell’approccio psicosomatico alle malattie?

Possiamo definire la somatizzazione come una trascrizione.

Per essere più chiara, ricorro ad una similitudine: in musica, trascrivere significa adattare un pezzo scritto per un certo strumento all’esecuzione di uno strumento diverso.

Oppure, un’altra similitudine forse ancor più chiara, è quella che possiamo immaginare pensando alla trasposizione cinematografica di un romanzo o di un racconto, un “riadattamento” di un testo scritto in immagini che scorrono nella pellicola e che noi osserviamo sullo schermo.

Possiamo dire: “è la stessa cosa”; ma è anche “un po’” diversa: è lo stesso il messaggio, ma è differente la codifica. Non solo: questa diversità si esprime anche in forma peculiare ,individuale, perché siamo noi, ciascuno di noi, i portatori del messaggio, e perciò utilizzeremo il linguaggio e lo strumento che più ci è consono.

Dunque la somatizzazione è sia una trascrizione, che una trasposizione: un fenomeno che si verifica sul piano psichico che gli è proprio viene trasferito e trascritto su un piano somatico, cioè, corporeo.

Certamente questa descrizione è semplice e la somatizzazione prevede una concezione assai più ampia della malattia e del disagio che essa produce. Infatti, nella somatizzazione non dobbiamo pensare semplicisticamente ad un trasferimento di dati da un piano all’altro, dalla psiche al corpo: dobbiamo invece considerare l’ aspetto olistico della natura umana, cioè, valutare entrambi i piani di esplicitazione coinvolti, psiche e soma, insieme, contemporaneamente; non separati ma come un tutt’uno.

Dice il prof. Baldo Lami, illustre psicosomatista:

“L’evento patogenetico viene concepito come una “singolarità sincronica” (Jung), che ha origine da una interazione ed intersezione dei sistemi che regolano la nostra vita, e che possiamo anche qui considerare metaforicamente come degli assi: uno orizzontale (dentro-fuori) ed uno verticale (sopra-sotto).”

Se accettiamo questa premessa, in un certo senso potremmo anche dire che tutte le malattie sono psicosomatiche, perché tali e tante sono le implicazioni della nostra esistenza nel sentire e nel partecipare con il nostro corpo e tutte le nostre facoltà razionali ed emotive alla realtà della vita quotidiana, che tanto quando siamo in buona salute tanto quando siamo malati partecipiamo alla realtà stessa con tutto il nostro essere.

Un esempio facile: quando siamo riposati e felici, il nostro sistema immunitario funziona meglio di quando siamo stressati e stanchi.

La pelle rappresenta l’organo più esteso del corpo umano; ha una superficie media, nell’adulto, pari a circa 6m quadrati. Ed è anche un organo meraviglioso, perché solo in un centimetro quadrato della nostra pelle troviamo 100 ghiandole sudoripare,15 ghiandole sebacee, circa 150 sensori nervosi, 1 metro di canali vascolari, 3 milioni di cellule.

La nostra pelle ha origine dalla divisione cellulare embrionale. Dalle primissime cellule embrionali del nuovo essere umano in formazione, si originano tre foglietti: ectoderma, mesoderma ed endoderma.

Da questi tre foglietti si origineranno poi i nostri organi ed apparati. In particolare, dal mesoderma i muscoli e l’apparato riproduttivo; dall’endoderma l’apparato digerente e quello respiratorio. Dall’ectoderma si differenziano il neuroblasto, da cui si svilupperà il nostro sistema nervoso; e l’epiblasto, da cui si svilupperà l’epidermide.

Fa molto riflettere che la pelle ed il sistema nervoso abbiano una origine comune!

Sino dagli albori della psicologia si considera come il concetto del nostro “IO” si formi grazie alle sensazioni ed ai processi di sviluppo ad esse connessi in relazione con la nostra pelle.

Un autore, Didier Anzieu, ci parla addirittura di un “IO-PELLE”: il concetto di IO sarebbe davvero inconcepibile, inseparabile, dalla “pelle”.

Secondo questo autore, il cui pensiero si approfondisce in modo mirabile su molteplici aspetti della nostra vita, è grazie alle funzioni di confine e di superficie di separazione-contatto che si originano nel bambino e si sviluppano poi nell’adulto tutte quelle sensazioni che ci permettono di interagire con il mondo e gli altri.

“Io sono questo e non quest’altro”: i miei confini corporei sono quelli della mia pelle, e dove finisce la mia pelle c’è l’esterno, ciò che è “fuori di me” ed anche, “altro” da me. Attenzione: questi concetti si possono leggere davvero in chiave psicosomatica, considerando tutte le sensazioni che ci dà la nostra pelle: quando tocchiamo qualcuno o qualcosa, avvertendo tutte le caratteristiche dell’oggetto della nostra esperienza tattile (calore, morbidezza, consistenza); ma anche pensiamo a quante volte certe percezioni non tattili si esplicitino proprio sulla nostra pelle.

Per esempio “ho la pelle d’oca”, “mi dà i brividi”, “mi ferisce”: e ci riferiamo a sensazioni propriamente psichiche come la paura o una emozione intensa!

E non è certo casuale che sia sulla nostra pelle che oggi sia di moda “scrivere” eventi importanti della nostra vita attraverso un tatuaggio; ma dobbiamo abbandonare questa osservazione che ci allontana dal nostro tema.

Da un punto di vista psicosomatico e data l’origine comune della pelle e del sistema nervoso, nessuna interazione è più evidente quanto quella tra cute e psiche.

E’ per questo motivo che di fronte ad una qualsiasi malattia della pelle varrebbe la pena interrogarci su quali possano essere i versanti psicologici di quella manifestazione. Ancora di più se questa patologia viene definita “atopica”, dove con “atopia” si intende una forte reattività ad agenti normalmente innocui. Perché ciò che “normalmente” è innocuo, ci fa male e ci “rende impresentabili”? Che cosa potrebbe significare questa nostra estrema sensibilità?

Ancora, non dimentichiamo che la pelle è anche ciò che ricopre la superficie del nostro corpo: l’organo che noi normalmente “mostriamo” agli altri.

Quali e quante siano a livello psicologico le implicazioni di una “pelle sporca”, “impura”, ”brutta”: di un aspetto esteriore che talvolta non sentiamo davvero che ci appartiene e dunque ci mette in forte disagio è una sensazione che è nota a molti di noi: l’acne in adolescenza, per esempio. E l’adolescenza non è forse la fase della nostra vita in cui stiamo “cambiando pelle”?

Un’altra chiave per considerare la nostra pelle è quella di pelle come superficie dove si proiettano alcuni contenuti del nostro inconscio. Superficie cutanea come schermo dove si proietta un film: è curioso notare che in inglese “pellicola”, che è una parola che deriva da “pelle”, si dice proprio “film”.

La pelle quindi, sotto la prospettiva psicosomatica, si può comparare ad uno schermo, ad una tela, dove si proiettano e si imprimono nei modi più singolari e propri di ciascuno di noi, differenti condizioni e contenuti emotivi , consci ed inconsci.

L’omeopata francese Didier Grandgeorge ama ripetere che malattia in francese si dice “maladie”, che si legge esattamente come “mal a dit”, cioè, il “male” parla, la malattia parla di te; ancora: la malattia “TI” parla di te.

Cercare di interrogare in chiave simbolica la malattia forse non ci porterà sempre alla guarigione ma certamente ci fornirà una riflessione più profonda su di noi e ci farà capire e cambiare molte cose che non vanno bene nella nostra esistenza.

Il linguaggio della malattia in cui siamo coinvolti è spesso un linguaggio antico, dove vengono a confondersi le simbologie più svariate. Il sintomo e l’organo scelto come sede d’elezione , come “scranno da cui parlare”, portano con sé il dialogo continuo tra individuo e società, archetipo mitologico e storia, ereditarietà ed ambiente.

Anche l’omeopatia può aiutare le persone affette da psoriasi. Una premessa imprescindibile è che la scelta del rimedio deve essere effettuata sul soggetto, considerandone l’intera personalità.

L’omeopatia infatti cura il malato, non la malattia, e potrebbe venire perciò prescritto un rimedio prendendo in considerazione aspetti anche che non siano relativi alla patologia su cui vogliamo agire.

Per questo motivo preferisco non citare in questo articolo nessun rimedio omeopatico ,nemmeno i più comunemente impiegati e famosi per questa patologia.

Piuttosto, vorrei che questo breve articolo portasse a considerare sia le implicazioni più intime e personali che una riflessione più attenta su una patologia potrebbe suggerire, quanto, qualora siate affetti da una patologia della pelle, a confrontarvi apertamente su questo tema con un terapeuta che possa affiancarvi e supportarvi in una lettura psicosomatica , portandovi così ad una maggiore conoscenza di voi stessi ed un conseguente miglioramento della vostra qualità di vita.

Dr.ssa Silvia Nadalini

si è laureata in farmacia presso l’ Università di Ferrara, e successivamente in Psicologia presso l’ Università di Padova.
Attualmente vive e lavora a Rovigo / Adria (RO).

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@ dr Isawi

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